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5 / A casa di Kiki

Quando verso le sette di sera, dopo aver offerto un tè a Marion, Kiki aprì il primo dei grandi sportelli scorrevoli del guardaroba rivestito di specchi e scoprì la fila di ripiani carichi di decine e decine di scarpe dai tacchi impossibili, Marion credette di sognare. "Non avrei mai immaginato che qualcuno potesse avere scarpe dai tacchi così alti", disse.
"Allora forza, cominciamo a divertirci un po' e a fare qualche prova", sorrise Kiki sfiorando con le dita il volto di Marion, mentre la bionda sentiva addosso una strana e crescente eccitazione e guardava Kiki affascinata, avvertendo dentro di sé lo stesso tipo di desiderio che fino a quel momento, nella sua vita, aveva riservato soltanto agli uomini più belli e affascinanti.
Per un tempo che le parve interminabile provo' una dietro l'altra decine e decine di scarpe dai tacchi sempre piu' vertiginosi, cercando di conquistare passo dopo passo un'equilibrio che non avrebbe mai sognato di avere. Le caviglie le bruciavano, la testa le girava, ma dentro sentiva crescere un'eccitazione intensa e bellissima.
Due ore più tardi Marion si sentiva bella come non le era mai successo, ed era davvero convinta di sognare.

Era completamente nuda, tranne i decolleté di vernice nera dagli incredibili tacchi a spillo alti diciotto centimetri che Kiki le aveva infilato pochi minuti prima e una solida e alta cintura di cuoio nero che le stringeva la vita, un waist cincher irrigidito da stecche metalliche che la lasciava quasi senza respiro.
Abbandonata e felice anche se fino a pochi istanti prima fremeva per la paura di non riuscire a reggersi in piedi ("Respira profondamente, conta fino a dieci e rilassati: se tieni i muscoli troppo tesi non ti lascerai andare e non proverai nessun gusto e nessuna soddisfazione", le aveva mormorato Kiki all'orecchio), Marion stava in piedi con le spalle appoggiate alla parete di specchi del guardaroba, le gambe divaricate, i muscoli dei polpacci e delle cosce rigidi e frementi e il cuore che le batteva all'impazzata, come se stesse facendo (ed era proprio cosi') qualcosa che non avrebbe mai immaginato di fare.

Kiki, che indossava stivali alti fino alla coscia di vernice nera con tacchi da otto pollici, una parure di bracciali e collane d'oro massiccio e un miniabito attillatissimo di pelle nera dalla scollatura così profonda da farle fuoriuscire completamente i seni, era inginocchiata davanti a lei nella sua perversa mise e le leccava il sesso accarezzandole i seni con le braccia protese verso l'alto.

Marion aveva ancora in bocca il sapore della saliva di Kiki, che dopo averla spogliata con dolce fermezza e averle fatto indossare quell'ultimo paio di scarpe, l'aveva palpata, accarezzata e baciata appassionatamente scatenando in lei un desiderio al quale era impossibile resistere.
"Dio, non è possibile che io sia una lesbica e non me ne sia mai accorta", si ripeteva Marion tra sé. Ma le ondate di piacere che la facevano tremare erano così travolgenti che a un certo punto ebbe tutto chiaro in mente.
"Sì, sono una lesbica, ma è la scoperta più bella che potessi fare", si disse allungandosi felice sul grande letto di Kiki e cominciando a esplorare con la sua lingua prima timida e poi sempre più avida lo splendido corpo della sua partner, che si era sfilata l'abito di pelle nera restando con uno strettissimo corsetto di raso nero che le lasciava seni, ventre e glutei nudi ed esposti.

Quella notte Marion scoprì cose che non avrebbe mai immaginato, come i sette anelli d'oro, più pesanti e spessi di quelli che le ornavano i capezzoli, che Kiki portava alle labbra del grembo completamente rasato e al clitoride: gioielli perversi e barbari di fronte ai quali in principio Marion provò disagio e paura, ma che in poco tempo diventarono uno dei punti più ricercati dalla sua lingua oltre che dai suoi occhi.
Marion ne esplorava la superficie liscia per sentirne in bocca il sapore metallico, sfiorava con la lingua il punto in cui s'introducevano nella carne cercando il punto di passaggio tra la durezza dell'oro e la morbidezza del corpo, tra la liscia superficie dell'oro e il calore umido del sesso, e frugava lì dove penetravano nei capezzoli o nelle grandi labbra per individuare esattamente il foro con la lingua.
Ci giocava, li accarezzava con le dita, li tirava con le labbra, li succhiava finché non le riempivano la bocca, li torceva con i denti, desiderando di averli anche lei e sapendo che quella sarebbe stata la sua prossima tappa, il primo passo verso una meravigliosa strada senza ritorno.
Più tardi, verso le tre del mattino, seduta sul bordo del grande letto di Kiki, Marion si rivestì con l'abitino rosa e calzò di nuovo i sandali di cuoio comprati nel pomeriggio.
Quando si alzò ebbe la strana impressione di essere quasi a piedi nudi, e poi capì perché: in confronto agli altissimi tacchi che Kiki le aveva fatto indossare quella sera, i sandali dei quali poche ore prima si sentiva così orgogliosa erano del tutto normali, come altre scarpe che si potevano comprare in diversi negozi di Roma.
Mentre si avviava verso la porta Kiki la fermò sfiorandole una spalla. "Aspetta", mormorò. E le porse un libro rilegato in marocchino bordeaux.
Marion lo aprì e ne lesse il titolo: "Histoire d'O", di Pauline Réage.
"L'hai mai letto?", chiese Kiki.
Marion fece cenno di no scuotendo la testa.
"Beh, leggilo con molta attenzione. E' una delle chiavi per entrare nel mio mondo", disse Kiki baciandola sul collo e accompagnandola verso l'uscita.
 

Marion rivide Kiki molto spesso nei giorni seguenti, e una settimana più tardi si trasferì a casa sua. Con sé portò soltanto una piccola valigia: dopo aver curiosato giorni e giorni nel guardaroba di Kiki non poteva pensare di continuare a vestirsi come prima, e infatti non lo fece più.
Dal giorno del suo arrivo indossò soltanto impossibili abiti che la serravano come in una morsa, biancheria intima di seta, di cuoio o di pelle che anziché coprirla esaltava le sue nudità, corsetti che la torturavano lasciandola senza respiro ma che al tempo stesso la facevano implorare Kiki di serrarli ancora di più.
Una notte, incatenata in ginocchio ai piedi di Kiki, stretta in un bustino di cuoio nero, coi polsi legati dietro la schiena e il grembo bagnato e tremante, esausta ma ancora ingorda dopo ore e ore di sesso, le chiese quello che segretamente sapeva di averle voluto chiedere fin dal primo momento.
"Voglio essere la tua schiava", mormorò baciando il sesso rasato di Kiki.
"Guarda che sarà dura", rispose lei.
"Gliela farò", disse Marion. E ne ebbe la certezza non appena Kiki la colpì crudelmente con la prima, bruciante frustata, e lei sentì il grembo che si bagnava sempre di più e l'orgasmo che arrivava di nuovo.
 
 
(continua)
 
 
 

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