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1 / Il Tattoo Studio
 

Quando Kiki St. Germain fece il suo ingresso nel Tattoo studio, calò improvvisamente il silenzio e tutti voltarono lo sguardo verso la porta. Nel riquadro di luce, le splendide gambe slanciate su un paio di vertiginosi tacchi a spillo alti diciassette centimetri e mezzo, si stagliava la donna più sexy e provocante che fosse mai entrata in quel posto.
   Kiki sorrise sicura di sé e con noncuranza fece scivolare a terra la corta giacca di visone black che portava sulle spalle, rivelando completamente la sua mise. Era fasciata da uno strettissimo e minuscolo abito di lucente pelle nera, corto, attillato e senza spalline, il cui bordo inferiore lasciava intravvedere qualche millimetro dell'attaccatura delle nere e seriche calze. La minigonna si tendeva sulle cosce come una seconda pelle e finiva appena tre dita sotto l'inguine, celando ben poco di quel corpo straordinario e sottolineando le appetitose curve dei glutei alti e rotondi.
   Dai fianchi in su l'abito si stringeva ancora, se possibile, in un bustino mozzafiato, sostenuto da rigide stecche d'acciaio, che serrava la vita come una clessidra e spingeva in alto i globi perfetti dei seni, coperti solo nella metà inferiore dalle coppe troppo esigue per contenerli. Le brune areole fuoriuscivano prepotenti, e i capezzoli turgidi lottavano con lo scandaloso vestito come se volessero saltar fuori da quei pochi millimetri di pelle che tentavano invano di coprirli.
L’abito inguainava soltanto il corpo, lasciando le spalle, le braccia e la schiena completamente nude.
   Intorno alla caviglia sinistra, i cui tendini erano tesi come un arco dalla altezza esagerata dei tacchi delle scarpe decolleté di vernice nera, scintillava una catenina d'oro piatta e liscia serrata in due giri. Il collo della donna era stretto da un lucido e spesso collare d'oro alto quattro centimetri, completamente liscio, segnato solo da un anello incastonato al centro e chiuso posteriormente da un incastro appena visibile nel quale spiccava però la toppa di una minuscola chiave. I polsi, stretti in un paio di lunghi guanti di morbida e lucidissima pelle nera, erano serrati da due pesanti braccialetti d'oro anch'essi provvisti di un anello, come se fossero i ferri di una schiava pronta ad essere incatenata.
   Kiki socchiuse le lunghe ciglia sugli occhi verdi sapientemente truccati. I capelli erano scalati, tirati indietro e allisciati dalla gommina come se fossero bagnati, e le sue orecchie splendevano sullo sfondo illuminato del corridoio come due piccole vetrine di una gioielleria.
   Dall'orecchio destro, sapientemente perforato, pendevano nove orecchini d'oro di forma ellissoidale: la parte inferiore era un pesante tubo pieno a forma di U, quella superiore un filo rigido e più sottile a forma di U rovesciata che penetrava nel lobo e si incastrava nella metà di sotto. Il loro diametro era decrescente man mano che risalivano verso la parte superiore dell'orecchio: una dozzina di centimetri quello infilato nel foro più basso, quattro quello che oscillava in vetta al padiglione.
   Il lobo sinistro era trapassato da un barbaro uncino che nella parte posteriore si piegava di nuovo verso il basso e terminava in una sferetta d'oro che impediva al gancio di sfilarsi dal foro, mentre anteriormente si agganciava a un grosso e lucidissimo pendaglio d'oro che arrivava quasi a toccare la turgida sfera del seno, così massiccio da stirare come un arnese da tortura il foro al quale era appeso.
   Otto diamanti, montati su perni d'oro che s'insinuavano nell'arco del padiglione ed erano bloccati posteriormente da piccole chiusure a scatto, accompagnavano la curva dell'orecchio. La fila di gemme era interrotta a metà da una fascia d’oro alta un centimetro e mezzo, che serrava il ciglio dell'orecchio come un minuscolo e strettissimo bracciale e che copriva un poco, toccandoli appena, i due diamanti più vicini.
   La porta a specchio rifletteva la schiena abbronzata di Kiki, nuda fino alla vita per via della profonda scollatura posteriore dell'abito, che aderiva ai seni solo grazie alla rigida steccatura del bustino. Dalla vita in giù, dietro, scendeva l'allacciatura dell'incredibile e oltraggioso abito di pelle: era tenuto stretto al corpo da due sottili ma robuste stringhe che si incrociavano attraverso una fitta serie di occhielli, intrecciandosi fino a un paio di centimetri sotto le natiche sode e rotonde, dove la stringa terminava e la minigonna si apriva in un piccolo spacco già teso al massimo dalle cosce appena divaricate.

 

Le gambe nervose e perfette di Kiki, dai polpacci affusolati, erano segnate verticalmente dalle cuciture delle calze, e le due linee nere nette e diritte scendevano fino ai talloni più scuri che spuntavano come frecce dalla lucente vernice nera delle scarpe smisuratamente alte. Sul lato esterno del piede destro, appena sotto al malleolo, spiccava sotto il nylon della calza un serpente verde e blu finemente tatuato, con la lingua rossa fiammeggiante.
Kiki si staccò dallo stipite della porta, allargò ancora un po’ le cosce per poggiare più saldamente sui suoi vertiginosi tacchi, fece un passo avanti e sul freddo pavimento il lieve rumore metallico del tacco a spillo echeggiò schioccando sul marmo come una frustata.
I muscoli delle gambe guizzarono sotto le calze, la gonna si tese e salì di un paio di centimetri. Fra le cosce, appena sotto il bordo teso della minigonna, brillò alla luce l’estremità inferiore di un piccolo pendaglio d'oro, una piastra liscia, ovale, che dondolava dall'inguine.
Kiki si chinò lievemente in avanti, socchiuse la bocca sprezzante lucida di rossetto scarlatto, e il movimento fece intravvedere, anche là dove i seni lottavano per uscire dall'abito che li imprigionava, un nuovo, duplice scintillìo dorato, come se i capezzoli spinti in alto dalle piccole coppe del bustino fossero ingioiellati al pari delle orecchie.
"E' questo il Tattoo Studio?", chiese Kiki. Il tatuatore, con la macchinetta alzata a mezz'aria, fece cenno di sì. Ma nessuno riuscì a aggiungere altro: tutti gli occhi guardarono dietro di lei.
  (continua...)
 
 
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